sabato 29 luglio 2017

Viterbo termale - "Paliano quanto ti amo! - Un progetto che attendevamo dal 1980..." - di Giovanni Faperdue


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Nella seduta di giovedì 27 luglio 2017 il Consiglio Comunale di Viterbo ha definitivamente adottato il Piano Particolareggiato del Paliano. Come si ricorderà il Polo Termale in località Paliano, in zona F4, era previsto fin dal 1980, dal Piano Regolatore Generale, che non aveva trascurato questo importante volano per lo sviluppo dell’economia viterbese. Il progetto della Free Time, gode di una concessione mineraria regionale di 15-20 litri al secondo di acqua termale, e dispone di volumetrie che consentono l’edificazione di uno stabilimento termale, un albergo termale con annesso centro congressi e una zona residenziale.

Dobbiamo dare atto al sindaco Leonardo Michelini, primo sindaco di Viterbo dal dopoguerra ad oggi, ad avere condotto a termine tutto l’iter di adozione dell’importante progetto che, amministrazioni precedenti avevano completamente trascurato. Il primo a non credere in questo progetto fu il sindaco Giancarlo Gabbianelli che per primo lo ricevette il 5 agosto del 2002. Durante tutto il tempo del suo mandato, più di otto anni, Gabbianelli si comportò come se il Piano Particolareggiato non fosse mai stato presentato in Comune.

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Dopo di lui alla carica più alta del Comune fu eletto Giulio Marini, che per cinque anni non fece nulla per avviare l’iter e si comportò esattamente come il suo predecessore. La Società Free Time sollecitò più volte la pratica, e il 30 agosto del 2012 inviò anche una raccomandata con ricevuta di ritorno al sindaco di Viterbo Giulio Marini, per sollecitare l’avvio delle procedure per l’approvazione del Piano Particolareggiato. Malgrado questa ulteriore richiesta fatta con lettera raccomandata dalla Free Time, Giulio Marini continuerà a comportarsi come se lo sviluppo termale di Viterbo, non facesse parte dei suoi progetti. Questo silenzio del sindaco Giulio Marini, incrementa i tempi di attesa per l’approvazione del nuovo Polo Termale, che partendo dalla data di presentazione del progetto, ammontano adesso a undici lunghi anni, durante i quali la Free Time ha sempre pagato le tasse regionali per la concessione mineraria e anche l’IMU sui terreni (Imposta Municipale Unica).

Le prime luci dell’alba sul progetto Free Time, si incominciano ad intravedere il 16 luglio 2014, quando dopo poco più di un anno dalla sua elezione, la giunta guidata da Leonardo Michelini approva la delibera a favore del Piano Particolareggiato. Michelini diventa così il primo sindaco dal dopoguerra ad oggi ad avviare il vero sviluppo termale del capoluogo, che non sarà più a regime monopolistico. Il 6 dicembre 2016 il Consiglio Comunale fa un altro passo in avanti importante, adottando il Piano Particolareggiato, e il 27 luglio è stato compiuto l’ultimo atto. Infatti, è stata recepita la convenzione tra la Free Time e il Comune di Viterbo. Adesso la pratica passa alla Regione Lazio per l’approvazione definitiva. In conclusione dal 5 agosto 2002 al 27 luglio 2017, sono trascorsi quindici lunghi anni, per fare adottare un provvedimento, che porta lavoro e sviluppo a Viterbo. 

Da sottolineare il comportamento di alcuni consiglieri dell’opposizione, che lamentano come le pratiche della Free Time abbiano in Comune una corsia preferenziale. Raccomandiamo a questi consiglieri di controllare tutte le date, per rendersi conto che non c’è mai stata una corsia preferenziale, anzi ci sono state due amministrazioni (Gabbianelli e Marini) che hanno sempre tirato il freno a mano. Questa approvazione è dovuta principalmente al sindaco Leonardo Michelini e alla sua maggioranza, che vedono nello sviluppo termale, il più importante volano di sviluppo per Viterbo. Ricordiamo che un Polo Termale non è una colata di cemento, ma uno strumento potente di sviluppo che conferisce, tutti i giorni dell’anno, ricchezza all’economia di Viterbo, creando opportunità di sviluppo e occupazione.


Giovanni Faperdue -  giovannifaperdue@libero.it

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Libertà dalla schiavitù del denaro - Sì al signoraggio di popolo, no al signoraggio delle banche

Il primo passo da compiere, se si vuole liberare la società dal cappio del ricatto bancario e finanziario che impedisce un normale fluire dell'esistenza, è la rivalutazione del denaro in quanto mezzo di scambio per beni e lavoro e non in quanto "bene in sé".

Sovranità e libertà. Sì al signoraggio di popolo, no al signoraggio delle banche

Il denaro non è altro che un simbolo della capacità di un popolo, ma anche di un individuo, di poter operare e attraverso la propria opera di poter disporre e scambiare quanto gli è necessario per la sopravvivenza ed il benessere.

Una società libera emette liberamente questo mezzo di scambio, garantito dalla forza lavoro e dalle ricchezze accumulate al suo interno, che esse siano naturali, culturali o di altro genere. Questo diritto all'emissione monetaria viene assicurato dalla "signoria" popolare su quanto posseduto e sulla capacità della comunità stessa di esprimere forza lavoro e creatività. Questa signoria, in termini tecnici e monetari si definisce "signoraggio".

Attualmente il denaro prodotto dalle banche centrali (private) non è che un "buono" cartaceo, sorto dal nulla e privo di controvalore, e dato in prestito agli stati. Questo denaro produce perciò un "debito". E tutto ciò avviene in conseguenza del "signoraggio bancario", ovvero l'alienazione di quel "signoraggio" originale della comunità ceduto alle banche centrali.



Ma cosa è il signoraggio bancario?

Rispondo in poche parole. E’ la più grande truffa mai inventata. E’ la rinuncia alla sovranità dello stato di emettere i propri valori di scambio delegando l’operazione ad una banca privata, (come è la Banca d’Italia o la BCE), e pagando a detta banca congrui interessi.
La carta moneta emessa dalla banca centrale - la BCE nella Comunità Europea- e messa in circolazione nei vari stati viene pagata dallo stato che la riceve attraverso l’emissione di buoni del tesoro ed altri titoli, posti in vendita presso le banche commerciali, e per cui lo stato paga un ulteriore interesse.

Questo processo perverso è alla radice della formazione del cosiddetto “debito pubblico” che non è altro che l’indebitarsi da parte dello stato, ovvero del popolo, nei confronti di un privato, che è la banca.

Allora potreste chiedermi: “Perché lo stato si assoggetta a questo salasso, perché non recupera la sua sovranità monetaria?” Ed io vi rispondo: Perché il processo di commistione e di sudditanza è andato troppo avanti in questo sistema, dominato dal controllo finanziario di enti privati internazionali.
Allorché la politica non sarà più dedita alla corruzione e potrà recuperare la sua funzione primaria, che è quella di servire gli interessi del popolo e non dei potentati finanziari, che sono la causa prima della corruzione, avrà riconquistato la sua indipendenza ed autonomia operativa.

Per quel che riguarda la falsità dell’informazione sulla realtà del signoraggio bancario e la volontà di mantenere il popolo in ignoranza totale su questa triste verità, vale la stessa risposta, ovvero chi detiene il potere finanziario, e di conseguenza quello economico ed amministrativo, è in grado di controllare l’informazione in tutte le sue forme ed è quindi capace di far credere al popolo qualsiasi menzogna, pur di mantenere il potere acquisito.

Spiace dirlo ma in Italia e nel mondo non esiste alcuna libertà e verità d’informazione, se non quella “falsata ed ipocrita” ammannitaci dal potere finanziario mondiale.

Però infine la legge karmica universale (causa effetto) prevarrà sulla menzogna e coloro che l’hanno sparsa saranno costretti a “raccogliere la propria immondizia”. E ciò avverrà quando nella società umana trionferà la consapevolezza di un mondo comune a tutti, concreto e collettivo, di cui tutti siamo compartecipi, in cui le forze e le cose manifeste corrispondono all’insieme del vivente e del non vivente, in cui lo star bene della mano non comporta un danneggiamento del piede, che è l’attuale meccanismo causato dall’ignoranza dell’inscindibilità della vita.

Il senso della comune appartenenza deve affermarsi nella società, coincidendo col bene personale, ed a qual punto sarà chiaro che non possono più risaltare (nelle scelte sociali e di governo) interessi rivolti a soddisfare una parte a scapito dell’altra. Questo mondo presente di attrazioni e repulsioni, di scale di valori, di motivi personalistici e di incentivi egoici, insomma il mondo della competizione, lascerà quindi il posto al mondo della collettività, sia dal punto di vista biologico che del pensiero.

Paolo D'Arpini 

(http://www.terranuova.it/Blog/Riconoscersi-in-cio-che-e)

Articolo di approfondimento:
Economia ecologica: signoraggio, debito pubblico, tasse...

venerdì 28 luglio 2017

Italia, ...quello era il paese delle meraviglie...


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Il Paese delle Meraviglie

Che Gesù di Nazaret dovesse patire l'umiliazione di una seconda crocifissione al palo della Lap Dance di Arcore, con il capo sfregiato dalle spine della Sacra Corona Unita, è semplicemente mostruoso.

Recepisco con immenso entusiasmo l’affido gestionale del dipartimento afferente ai rapporti del Partito e del Movimento Giovanile con le realtà cattoliche e religiose… ho da sempre sperimentato una certa simpatia per i fondamenti culturali sottesi agli orientamenti di Forza Italia, la cui visione liberalconservatrice risulta essere sicuramente l’orientamento teorico e pratico più affine ai valori etici e culturali cristiani….”

Sic, senza imbarazzi e senza vergogna, tal Zullo, neo responsabile del Dipartimento Rapporti con il Mondo Cattolico e Religioso di FI, onorato di far parte di cotanta squadra.

Perché meravigliarsi?! Nulla è ormai impossibile nel Paese in mano al governo delle meraviglie

 
Un Paese il cui capo di governo, quando parla, stenta molto a guardare dritto negli occhi chi gli sta davanti …!

Un Paese che affida il governo delle più alte responsabilità della Sanità e dell’Istruzione a ministre senza titoli, al di là di stentati diplomi, poco al di sopra della scuola dell’obbligo, molto al di sotto della formazione universitaria.

Un Paese sfrontatamente derubato, ad opera e con l’utilizzo di imprenditori-marionetta (spesso riconoscibili dalle vistose e ben marcate pezze al culo), delle aziende strategiche, di vitale funzionalità per il decoro della nazione e la salute pubblica: Montedison, grandi banche, autostrade, Telecom, Alitalia…….

Un Paese in cui il principale partito di governo - il PD - è responsabile di fatto di tutte le privatizzazioni forzate o volontarie, con la vendita di beni comuni, talvolta per un tozzo di pane (oggi è forte il rischio, con la scusa della siccità, di assalto alle aziende dell’acqua pubblica) sempre a vantaggio dei propri amici italiani o stranieri).

Un Paese che conta meno di nulla sul piano internazionale, grottescamente offeso e umiliato dall’ultimo ma(cro)nufatto di MasSioneria imposto all’Europa, per una Europa comunitaria che esiste solo in disegni che la vorrebbero imporre fasulla e snaturata dei valori dei popoli che l’hanno storicamente costituita.

Un Paese in cui la politica si rinnova col rilancio di Mara Carfagna ad opera di una mummia riesumata dal sarcofago della più bieca e retriva storia recente, che, un giorno sì e l’altro pure, propone Draghi, Marchionni e mostri vari, tutti meticolosamente selezionati nella galleria degli orrori di un post modernismo democrofago.

Un Paese in balia di flussi migratori incontrollati dalla legge ma ben coordinati dalla delinquenza organizzata e, quel che è peggio, indotti col fine subdolo dello spappolamento del tessuto sociale, attraverso la cattiva gestione dei necessari processi di integrazione.

Noi siamo davvero tutto questo: un vero, sorprendente Paese delle Meraviglie.

E in tutto questo non ci facciamo mancare nulla: persino l’imposizione – complice l’immondo servilismo mediatico che pervade viscido il mondo dell’informazione - di processi di degenerazione sociale, spacciati per avanguardie progressiste, che fanno a pezzi principi e valori di puro buonsenso, a dispetto persino di madre natura, con la quale si vorrebbe scendere a patti in improbabili conciliaboli internazionali per la difesa di un ambiente che diventa sempre più ostile e gravido di miasmi di una civiltà umana in lenta ed inesorabile dissoluzione.

Solo in un quadro di lettura così tragico è possibile capire che cosa stia realmente accadendo al Bel Paese: siamo un popolo privato di autentica sovranità, costretto agli oli della Tunisia e al Parmesan farcito di segatura degli Stati Uniti, martoriato da tentativi reiterati di scassinamento nei suoi fondamenti costituzionali, ad opera di incompetenti burattini in malafede, occultamente pilotati a distanza.

Di che ti meravigli? Ti pare che abbia esagerato? Io non lo credo affatto!

E ricordalo bene: “il tempo delle Meraviglie è sempre” 
…..almeno finché non ti svegli!

Adriano Colafrancesco

Foto del profilo di Adriano Colafrancesco

giovedì 27 luglio 2017

Roma - Dopo gli anni di Mafia CaPDale...


Dopo gli anni di

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  • approvato per la prima volta il bilancio preventivo a gennaio: prima di tutte le altre grandi città italiane e molto prima rispetto alle amministrazioni precedenti,
  • allargato il progetto “Fabbrica Roma” a sindacati, imprenditori, mondo della ricerca, università, altre Istituzioni e tutta la società civile,
  • ripristinata la legalità: grazie alla programmazione non si danno lavori in affidamento diretto con il pretesto dell’emergenza,
  • contenuta la spesa annua per gli incarichi esterni: circa un quarto rispetto ai 12 milioni di euro del 2012 e quasi la metà rispetto ai 5,6 milioni del 2014,
  • avviata una seria attività di risanamento delle strade: atteso l’esito delle gare, finalmente i lavori sono realizzati a regola d’arte, perché c’è un contratto da rispettare e c’è un piano pluriennale per la manutenzione (che prima non veniva fatta),
  • potenziato di 200 unità il parco mezzi per il trasporto pubblico e dotati 500 autobus di telecamere di sicurezza,
  • potenziata la linea ferroviaria Roma-Lido,
  • unificata la via del Mare con la via Ostiense fino al Gra,
  • completata (in autunno) l’unione delle linee A e C della metropolitana a San Giovanni,
  • dotata Ama di mezzi nuovi per la raccolta dei rifiuti,
  • attivate nuove isole ecologiche,
  • avviato il recupero delle spiagge di Ostia,
  • migliorato il progetto dello stadio di Tor di Valle: meno cemento, più verde,
  • messo in sicurezza il quartiere di Decima,
  • negati lo stupro e la rapina olimpionici.
Non c’è dubbio che si è messa la parola fine ad un sistema corrotto che per anni ha “mangiato” i soldi delle nostre tasse per avvantaggiare pochi e ha fornito servizi sempre più scadenti e non all’altezza di una grande capitale.

Adriano Colafrancesco


....................

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Commento integrazione di Fulvio Grimaldi: 

...e aggiungo:
 
E insignito il primo magistrato anti-mafia e anti-Stato mafioso, il più minacciato da Stato e criminalità organizzata, Nino Di Matteo, della cittadinanza onoraria di Roma. Assenti dall’aula tutti i gruppi tranne quello dei 5 Stelle. Vorrà pur dire qualcosa.
 
Nei giorni in cui la magistratura reggina, uno degli ultimi pezzi di magistratura non collusa con Renzi e le cosche/logge/banche che lo sburattinano, arresta i ‘ndranghetisti che, in unione con Cosa Nostra, volevano ammazzare il poliziotto Nicola Calipari, poi ucciso in Iraq dagli Usa, a conferma di una sinergia Usa-mafie-massoneria-regime che dura dallo sbarco del 1943  e si è esteso a livello europeo a partire da Ventotene e a finire a Bruxelles.
 
Le armi del carcinoma? Tecnologie cibernetiche, guerre, terrorismo, austerity, repressione, sorveglianza, migrazioni di massa. Di riserva: "il manifesto", Boldrini, Ong.

F.G.

mercoledì 26 luglio 2017

Roma e l'acqua smarrita.... che aiuta la vita!


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Forse  a breve l'acqua pubblica a Roma sarà razionata, bene. Non sto scherzando, per me è un bene davvero anzi dovrebbe esserlo sempre. Ho sentito dire dal popolo che la colpa è dell'Acea, di Virginia Raggi, dell'immancabile Rutelli che fino a quando sarà in vita fungerà da capro espiatorio per tutto.

Le perdite ci sono, ma è anche vero che quel 40% di acqua smarrita finisce nel sottosuolo ben distribuita quindi probabilmente contribuisce alla vita di alberi, parchi e falde acquifere varie. Comunque le perdite non sono nulla rispetto agli sprechi domestici.

Invece di trovare sempre un capro espiatorio, un nemico pubblico a cui accollare tutti i mali, guardatevi allo specchio e misurate quanto la vostra faccia sia tosta.
-1 Vi fate almeno una doccia al giorno? Se la risposta è no fate schifo. Se la risposta è SI passate al quesito numero 2.
-2 Quanto tempo impiegate sotto la doccia? Da 1 a 3 minuti. Da 3 a 6 minuti. Oltre i 6 minuti.
-3 Vi lavate i denti? Se la risposta è No fate schifo. Se è Si passate al quesito 4.
-4 Quanti litri di acqua quantificabili in un litro al minuto sprecate per dare una sciacquata ai denti? Pochi centilitri. Mezzo lt. Più di un lt.
-5 Quando andate al cesso tirate la catena? Se no fate schifo. Se si andate al quesito 6.
-6 Se avete evacuato un quantitativo minimo di pipì scaricate il contenuto intero di uno "sciacquone" o dosate un minimo scarico?

Quanto tempo state sotto la doccia? Quando vi lavate i denti chiudete il rubinetto? Quando vi tagliate la barba, quando vi depilate la vagina o il culo la chiudete questa benedetta acqua?

La maggior parte di voi non risponderanno perché hanno la coscienza sporca, anzi qualcuno alla prima domanda smetterà proprio di avere una coscienza godendosi questo post dal luogo di villeggiatura che probabilmente non sarà interessato dal provvedimento, ma prima o poi dovrai tornarci a Roma bella faccia da minchia in salamoia.

La realtà la sappiamo quale è, quasi tutti quelli che conosco si fanno docce lunghissime, sprecano acquedotti per radersi, autobotti per sciacquarsi i denti e penso di essere uno dei pochissimi che a Roma ha il water con lo scarico regolabile.

Tutto ciò perché questa città è abitata dal popolo più arrogante del mondo che ha sempre avuto tutto e a cui si sono aggiunte migrazioni di ogni tipo dal Sud fino all'Abruzzo di gente abituata alla siccità che qui ha trovato la possibilità di concedersi il lusso di sprecare e fondamentalmente di fare come ciufolo gli pare adattandosi immediatamente alle abitudini locali. Noi che andiamo in campeggio in montagna dove a volte ci sono le docce a gettone da tre minuti e con quei tre minuti ci facciamo la doccia in 2 non meritiamo di vivere in mezzo a voi.
Merdaset fa i reportage intitolati la grande bruttezza parlando del degrado. Il degrado sono i cittadini romani e la loro totale incapacità di pensare al prossimo e allo spazio che li circonda come a un bene comune.

La città con più motorini e più smart al mondo, cioè due importanti simboli dell'inquinamento individuale e individualista. Questo è degrado, non quattro poveracci che per vivere si costruiscono una baracca di fortuna e chiedono l'elemosina. Degrado è il fumatore che getta a terra la cicca e il pacchetto di sigarette, il proprietario di cane che non raccoglie la merda, quello che butta la pianta secca dal balcone e mi sto mantenendo sulle cose che so che fate quasi tutti. Poi se uno va in un qualsiasi giardino pubblico adiacente un palazzo scoprirà che dalle case piovono batterie, giocattoli rotti, telefonini vecchi, calcinacci, pannolini e pannoloni, dentiere, macchine della polizia e chi più ne ha ne metta.

L'ho già detto varie volte, il Donald Trump peggiore e più pericoloso è quello che abbiamo dentro.

Quante volte avete fermato uno che ha buttato una cartaccia a terra e gli avete chiesto con gentilezza "Scusi ha perso questa cosa!". In Germania insegnano questo sistema ai bambini, d'altronde dal dopoguerra hanno dovuto assorbire milioni di italiani immigrati quindi si sono dovuti inventare un modo pacifico per far notare agli zozzoni quanto fanno schifo. Invece qui è' più facile che ci incazziamo in silenzio e che poi si caschi nel meccanismo del "visto che tanto sporcano tutti a sto punto lo faccio anche io".

Ma la colpa sarà sempre di Alemanno, della Raggi, di Mafia Capitale, degli amministratori di condominio, de sto cazzo. Cosa faranno i romani ora chiederanno di dichiarare guerra al comune di Bracciano per rubargli il lago?

Non succederà nulla lo sappiamo tutti, mancherà l'acqua per qualche ora ad agosto che tanto ci sono 4 gatti e a settembre questa brutta storia passerà nel dimenticatoio. Altra cosa sarebbe invece se venisse razionata la cocaina in città, davvero vedremmo un milione di persone in piazza assaltare municipio e parlamento, ma state tranquilli quella non ve la faranno mai mancare.

Amen.


Fabrizio Girolami (detto Girollo)

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lunedì 24 luglio 2017

Il decalogo della manipolazione mediatica


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Noam Chomsky, linguista, filosofo e teorico della comunicazione statunitense, ha messo a punto un vero e proprio decalogo della manipolazione sociale attraverso i mass media.  A seguito di un minuzioso lavoro di studio e di interpretazione di un’immensa mole di documenti, Chomsky è riuscito a smascherare numerosi casi di utilizzo fraudolento delle informazioni, nonché ad evidenziare la piattezza conformistica dei media.


Il meccanismo attraverso cui si attua questo livellamento, è costituito dalla “fissazione delle priorità”: esiste un certo numero di mezzi di informazione che determinano una sorta di struttura prioritaria delle notizie, alla quale i media minori devono più o meno adattarsi a causa della scarsità delle risorse a disposizione. Le priorità vengono stabilite da società commerciali a redditività molto alta.

L’obiettivo è quello che Chomsky definisce come “la fabbrica del consenso”, ossia un sistema di propaganda estremamente efficace per il controllo e la manipolazione dell’opinione pubblica.

1. La strategia della distrazione: distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dal “potere” con un flusso continuo di informazioni, spesso insignificanti.

2. Creare il problema e poi offrire la soluzione: si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico, in modo che sia questa la ragione delle misure che si desidera far accettare.

3. La strategia della gradualità: per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi.

4. La strategia del differire: un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, guadagnando in quel momento il consenso della gente per una sua applicazione futura.

5. Rivolgersi alla gente adulta come a dei bambini: la maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse un bambino di pochi anni o un deficiente.

6. Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione: sfruttare l’emotività per provocare un corto circuito dell’analisi razionale e del senso critico.

7. Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità: far si che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e il suo asservimento.

8. Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità: spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti.

9. Rafforzare il senso di colpa: far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile delle proprie disgrazie per insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In poche parole, indurre alla non-azione.

10. Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca: con le raccolte dati e pareri dei propri social e con finte petizioni il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca se stesso. Con la conseguenza di avere un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, superiore a quello che la gente esercita su se stessa.

Sembra quasi di vedere all’opera Winston Smith, il personaggio principale di 1984 di George Orwell, l’impiegato del Ministero della Verità, che aveva il compito di censurare libri e giornali non in linea con la politica ufficiale, di alterare la storia e di ridurre le possibilità espressive della lingua. 

La speranza è che si riesca ad evitare la fine di Smith, costretto a sottomettersi al Grande Fratello, il vertice del potere finanziario, i cui slogan più ricorrenti hanno un suono familiare: “la pace è guerra”, “la libertà è schiavitù”, “l’ignoranza è forza”, " la democrazia è potere ai partiti della grande finanza".

Testo inviato da Fernando Rossi

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domenica 23 luglio 2017

Roma... e l'acquedotto a secco


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Quindi nella terra che per antonomasia è stata, nei millenni, famosa per la capacità dei suoi abitanti di costruire acquedotti e portare l'acqua da bere e per l'igiene personale ovunque nel mondo conosciuto, ci si prepara a razionare l'oro blu! 
Gentaccia da niente, dove eravate negli ultimi trent'anni quando quanto sta per avvenire era prevedibile e previsto? Il presidente della Regione Lazio, il quasi per bene (la questione "Capitale non Mafiosa ma criminale" ha toccato suoi fedelissimi collaboratori) Zingaretti, negli ultimi trent'anni ha fatto il politico di professione e di queste ipotesi ha sentito parlare accoratamente da ogni cittadino competente in materia senza riuscite/volere/sapere fare nulla perché quanto sta per succedere non arrivasse a succedere. 
Non ha fatto nulla di serio e ora ce lo viene anche a raccontare televisivamente in attesa di chiederci voti per i prossimi anni per garantirci in cambio "gestione delle emergenze alla Zingaretti", appunto. L'acqua come la salute, la gestione dei rifiuti, le scelte energetiche, la viabilità sono attività complesse che non possono essere più lasciate in mano a mestieranti della politica né, tantomeno, a gente che, pur onesta, si improvvisa solutrice di tali complessità. 
Siamo ai famosi nodi che vengono al pettine e senza tanta, tanta, creatività, passione, intelligenza, visone strategica, il caos prevarrà e con il caos le soluzioni autoritarie.  La democrazia è messa in discussione da questa incapacità di pre-vedere il prevedibile. 
Vi ci voglio vedere, nella città delle mille fontane, stare con l'acqua razionata.
Oreste Grani/Leo Rugens
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venerdì 21 luglio 2017

Aumentano gli eremiti, anche a causa della Fornero... - Da Calcata a San Vittorino alle montagne pistoiesi


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L'eremita Mario Dumini di San Vittorino

“...ecco i primi benefici effetti della riforma Fornero? Aumenta il numero degli eremiti che tornano a vitalizzare le vecchie baite e ruderi in alta montagna, a stretto contatto con la natura, favorendo gli ecosistemi e la biodiversità, presidiando e manutenendo il territorio, esercitando meditazione e contemplazione, elevando la propria spiritualità e senza alcun onere per la collettività (essendo privi di assistenza sanitaria e sociale). Chissà quanti effetti positivi di questa preziosa ed ingiustamente vituperata riforma potremo ancora scoprire negli anni a venire …”  –  (Claudio Martinotti Doria) 

Dovrei raccontare anche la mia esperienza eremitica, vissuta  in diversi anni di ritiro nelle grotte e nelle capanne del Tempio della Spiritualità della Natura di Calcata.  Ricordo  a questo proposito  Mario Dumini, che conobbi a Roma nel 1974, quando  facevo vita eremitica in Via Emanuele Filiberto (vivendo senza luce elettrica né acqua corrente, un'esperienza durata un paio d'anni),  fu Mario stesso che mi indicò Calcata come luogo di ritiro stabile.  Successivamente Mario si stabilì in una grotta di San Vittorino, dove ancora risiede, facendo vita solitaria  (vedi:  http://marioduminieremita.weebly.com/chi-e-leremita.html)

Ricordo anche il caso di Marco, fuggito dalla società dei consumi, arrestato il 23 agosto dello scorso anno con l’accusa di coltivazione abusiva di canapa sui monti di Sambuca Pistoiese. E’ lì che da quasi quindici anni aveva scelto di vivere come eremita questo quarantatrenne originario della provincia di Varese. E’ un laureato alla Bocconi di Milano dove discusse la tesi “Metodologie di valutazione ambientale e sviluppo sostenibile”. Una mente brillante e una famiglia benestante alle spalle che lo hanno portato a diventare un product manager dell’Italaudio, storico distributore nazionale del gruppo Yamaha fino al 2001 quando, come lui stesso ha raccontato, mentre si trovava all’Holiday Inn di Manhattan  maturò la decisione di staccare la spina e a giugno dello stesso anno era in mezzo ai boschi delle montagne Pistoiesi, senza carta di credito in tasca, senza auto ma soprattutto senza il ritmo frenetico che imponeva il lavoro e l’azienda. Un ritmo e un lavoro che, racconta l’ex manager, servivano solo per soddisfare bisogni secondari, indotti dal sistema. Marco invece ha scoperto di voler vivere in mezzo alla natura seguendo i suoi tempi, quelli delle stagioni, e diventando un vegetariano…  

E questo sembra il destino di tutti gli eremiti, ovvero: diventare vegetariani. Ma è normale che sia così, poiché vivendo nella natura e rinunciando alla società dei consumi le erbe selvatiche sono il cibo più accessibile (a questo proposito segnalo un mio scritto storico sulla conoscenza erboristica fatta a Calcata: 

Paolo D'Arpini

    Nella capanna di Calcata


mercoledì 19 luglio 2017

Generale Fabio Mini: "La repubblica Italiana non esiste... è semplicemente una colonia USA..."


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Finché a fare certe affermazioni sono individui comuni e di basso profilo è facile screditarli tacciandoli di essere faziosi, filorussi, ideologizzati, prevenuti, ecc., anche quando si dicono ovvietà, cioè cose che dovrebbero essere note a tutti gli italiani, concetti e argomenti che in questa newsletter sono stati ripetuti più volte e ben esplicitati. Questa volta a fare le stesse affermazioni, addirittura con maggior veemenza e severità del sottoscritto, è un personaggio molto qualificato, competente e di grande prestigio ed esperienza (diretta non mediata), che essendo in quiescenza e avendo raggiunto una venerabile età, può permettersi di dire esattamente quello che pensa, senza compromessi politically correct. 

Ma anche in questo caso rimane un problema insormontabile: che la cosiddetta “opinione pubblica” italiana non ne prenderà atto, perché semplicemente non esiste, perché per farsi un’opinione occorrerebbe leggere, documentarsi, analizzare, confrontarsi, ecc., attività che esulano dalle capacità ed abitudini di almeno i due terzi della popolazione italiana (vedasi le varie ricerche sulla gravissima ignoranza degli italiani, in primis quella di Tullio de Mauro di una decina di anni fa). 

Pertanto, se anche le affermazioni del generale Mini fossero miracolosamente riportate su tutti i media nazionali per una settimana, nella migliore delle ipotesi arriverebbero solo a un terzo della popolazione italiana, gli altri due terzi continuerebbero a cazzeggiare occupandosi di sport (calcio in primis), ricette di cucina, quiz, serie tv (che hanno sostituito le telenovela), previsioni meteo, vacanze dei vip, l’ultimo modello di smartphone, l’ultimo metodo rivoluzionario per perdere peso, gossip, sistematica diffamazione e denigrazione di tutti coloro che la pensano diversamente o che semplicemente “pensano”, ecc.. 

A questa poco lusinghiera ma realistica descrizione degli atteggiamenti e comportamenti abituali di una cospicua percentuale di italiani, dovremmo aggiungere che sono pure dotati di memoria corta, a causa della televisione, che per decenni li ha bombardati di immagini, abituandoli al recepimento passivo di informazioni perlopiù superficiali, inutili e fuorvianti, atrofizzando i processi cognitivi, rendendoli incapaci di compiere connessioni, analogie, associazioni, correlazioni, visioni d’insieme, senso critico, ecc.. 

Pertanto non sono in grado di individuare e memorizzare tra i milioni di input che ricevono quelli che sono importanti e prioritari, per cui finiscono per non sapere nulla di quello che conta veramente. 

Provate a chiedere ai cittadini italiani medi se sanno quante basi militari straniere vi siano in Italia e quanto ci costino, quante bombe nucleari vi siano e in quali basi, quanti soldati americani vi siano, se essi commettendo reati nel nostro paese vengono puniti dalle nostre istituzioni preposte o se hanno l’immunità (come fossero diplomatici) e vengono semmai trasferiti o giudicati negli USA, se i nostri servizi segreti sono veramente autonomi o se sono asserviti agli USA, se la nostra classe politica dispone di autonomia e conti qualcosa a livello internazionale o se esegue semplicemente le disposizioni che riceve dall’UE e dagli USA, ecc.. fate loro queste domande e vi renderete conto di quale distanza siderale vi sia rispetto alla consapevolezza manifestata dal generale Mini, che vi propongo in alcune estrapolazioni nell’articolo sottostante.

Claudio Martinotti Doria
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Per contatti: claudio@gc-colibri.com 


Il generale Fabio Mini (su Limes) spiega perché l’Italia è una colonia da 70 anni

di Stefano Verdad - 15/07/2017
Il generale Fabio Mini (su Limes) spiega perché l’Italia è una colonia da 70 anni

Nella nostra tribù, il chiacchiericcio confuso che mischia truci slogan con fastidiosi borborigmi sostituisce, more solito, un’analisi lucida e approfondita delle cause ultime della catastrofica situazione in cui versiamo.  Il polverone alzatosi dopo il 1989, e l’illusione che quella data segnasse davvero la fine di un interminabile dopoguerra, ha offuscato l’unica, triste verità, ovvero che Italia e Germania, e quindi l’Europa, sono nazioni sconfitte ancora occupate militarmente dai vincitori. 

Ovviamente, per affermare pubblicamente questa dura verità, ci voleva una voce esterna, autorevole e indipendente, come quella del Generale Fabio Mini, che, sugli ultimi due numeri di Limes ha spietatamente affondato il bisturi nel bubbone della cruda realtà, raccontandola senza falsi pudori o pelose reticenze. Mini, consigliere scientifico del mensile del gruppo Espresso-Republica, è generale di Corpo d’Armata, già Capo di Stato Maggiore del Comando NATO del Sud Europa e comandante della missione internazionale in Kosovo. Scrive su “Repubblica” e l’”Espresso” e i suoi libri sono pubblicati da Einaudi e il Mulino. Stiamo quindi parlando di un “esperto” certamente non accusabile di simpatie nostalgiche o dilettantismo superficiale. 

Sul n. 4-2017 della rivista italiana di geopolitica, dedicato  A chi serve l’Italia, il contributo del generale Mini è intitolato “USA-Italia, comunicazione di servizio”, e prende spunto dalla svolta politica del Nuovo Mondo inaugurata dall’amministrazione Trump, che, in nome di un “nazionalismo nostalgico” di reaganiana memoria pretende -come gli altri presidenti, a dire il vero- che tutto il mondo serva gli interessi degli Stati Uniti, e, oltretutto, che tale servitù sia resa con sorridente gratitudine. Per quale motivo? Perché, secondo il generale, gli USA sono convinti che quasi tutti i paesi del mondo, comunque quelli di tutta l’Europa in particolare, debbano qualcosa agli Stati Uniti. (…) 

Un debito permanente e inestinguibile (…) che diventa così una sindrome patologica che toglie qualsiasi autonomia e dignità agli individui e sovranità agli Stati”.  Come i Blues Brothers, insomma, gli USA sono in missione per conto di Dio, per difendere o imporre la loro democrazia, e “la riconoscenza dovuta per tali liberazioni è impagabile. Nella pratica, però, (…) solo l’Italia ha dovuto e voluto accettare un debito infinito rifugiandosi nella sindrome della riconoscenza”, con un’unica, drammatica conseguenza: “la politica italiana è da oltre settant’anni vittima consapevole e felice dell’ingerenza degli Stati Uniti ed è stabilmente al servizio dei loro interessi”. Parole durissime e concetti chiari, che spiegano molti episodi oscuri smontando parecchie versioni retoriche, come l’episodio di Sigonella, che per Mini, invece di uno scatto di dignità nazionale, fu l’ennesima sceneggiata di cui i politici della Repubblica italiana sono maestri: Craxi si scusò con Reagan e poi concesse le basi per l’attacco contro Gheddafi.

Per non parlare, poi, della presenza di truppe straniere sul territorio nazionale: i militari americani sono circa 14mila, le installazioni oltre 110, quasi tutte senza la copertura atlantica, risultando così, secondo Mini, “la naturale continuazione delle esigenze militari delle forze di occupazione statunitensi e alleate in Italia. (…) Per settant’anni abbiamo obbedito ai consigli, alle imposizioni, alle ingiunzioni e alle minacce degli Stati Uniti nella politica, nell’amministrazione, nella giustizia e nella sicurezza senza chiedere e ricevere nulla in cambio, se non il fatidico ombrello di protezione, che proteggeva i loro assetti, e la pacca cordiale di solito riservata ai cagnolini. (…) Abbiamo accettato una divisione politica interna innaturale e deleteria che ha consegnato il potere centrale a politici succubi e corrotti, il potere periferico a formazioni filo-sovietiche e l’opposizione a eversivi nostalgici, fascisti, comunisti e frammassoni. Tutti gestiti e manovrati dai “liberatori” americani e sovietici impegnati in una guerra fredda che da noi è sempre stata calda (… ) Non siamo mai stati così apertamente velleitari nel seguire le istruzioni americane alla Nato e al di fuori di essa come nei periodi di governo delle sinistre. Non abbiamo discusso di niente e obiettato su niente, neppure sulle guerre intraprese in aperta violazione del diritto internazionale. Ci siamo accontentati di cambiarle il nome”.  

Le conclusioni tirate dal Generale sono inequivocabili: “Tutti noi europei e in particolare noi italiani non dobbiamo assolutamente niente, anzi (…) in tutti questi anni l’Italia ha già dato abbastanza pagando un caro prezzo anche in termini di tempo sprecato, risorse buttate e intelligenze massacrate da settant’anni di acquiescenza”.
Il discorso, durissimo, prosegue sul numero successivo, il 5/2017, intitolato USA-Germania duello per l’Europa, nel quale il generale Mini, con la scusa di immaginare un ipotetico futuro, nel suo contributo intitolato “3 ottobre Ultimo Valzer a Berlino” immagina ulteriori rivelazioni di Wikileaks, mischiando fantasia (poca) e realtà (quasi tutta) per dimostrare come la Germania sia tutt’ora un territorio occupato militarmente.

“La Germania non era libera e indipendente e non lo era mai stata dalla fine della Seconda guerra mondiale (…) quando il Piano Morgenthau, elaborato nel 1944, fu applicato per i primi due anni cdi occupazione postbellica e in alcune parti per qualche decennio. Il piano prevedeva la riduzione della Germania a paese agricolo e pastorale, lo smantellamento di tutto il complesso industriale e l’appropriazione degli impianti da parte dei vincitori a titolo di risarcimento dei danni di guerra”. La guerra fredda costrinse a un mutamento di prospettiva, e così “il Piano Marshall dei cosiddetti aiuti alla ricostruzione (…) girava attorno al progetto di opporre gli stessi europei all’eventuale espansione sovietica e di riarmare in un modo o nell’altro la Germania”. Le truppe straniere trasformarono di fatto la Germania occidentale “in un enorme feudo anglo-americano”, nel quale “i tedeschi sapevano benissimo di essere le prime vittime sacrificali di un eventuale conflitto tra blocchi, ma non vedevano alternative (…): in realtà erano prigionieri, e questo diventò palese soltanto dopo il crollo del Muro di Berlino”.

L’impietosa analisi storica del Generale Mini arriva sino ai giorni nostri, con dettagli politici e militari che rivelano la drammatica situazione di un Continente privo di qualsiasi autonomia o residuo di sovranità. Nella finzione narrativa, la conclusione dell’articolo ipotizza per l’anno prossimo un tentativo di uscita dalla NATO, immediatamente seguito da un’impressionante serie di attentati false flag, di cui gli statunitensi sono diventati maestri. 
E lascio al lettore curioso la fatica di recuperare gli articoli originali per documentarsi seriamente sulle cause ultime della nostra crisi, che affondano nella sconfitta militare, politica e umana di settant’anni fa.

Fonte: Barbadillo




Festival di Spoleto - Atti osceni. I tre processi di Oscar Wilde - Recensione


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FESTIVAL DI SPOLETO 60/2017
Atti osceni. I tre processi di Oscar Wilde
di Moises Kaufman
Traduzione Lucio De Capitani
Regia scene e costumi Ferdinando Bruni  e Francesco Frongia
Produzione Teatro dell’Elfo

AUDITORIUM DELLA STELLA
SPOLETO
14 luglio 2017 h20.30

LA STAGIONE DEL DOLORE



Per noi non c’è che una stagione: quella del dolore
Oscar Wilde, De Profundis


         La formidabile pièce di Moises Kaufman, “Atti osceni. I tre processi di Oscar Wilde”, in questa prima all’Auditorium della Stella di Spoleto, si apre sui dolenti passaggi di quel “De profundis” che il poeta irlandese (qui, un intenso somigliante Giovanni Franzoni) scrive verso la fine della sua prigionia: questa, iniziata nel 1895 nel carcere di Reading con la condanna per perversione sessuale, segna “la morte civile dell’uomo e dell’artista” e si conclude dopo due anni di regime durissimo e di lavori forzati. La morte vera del poeta, genio e artista meraviglioso inesorabilmente distrutto nel fisico, dimenticato e in miseria, costretto a vivere sotto falso nome, avverrà in una fredda Parigi nel novembre del 1900, a soli tre anni dalla scarcerazione. Dodici persone seguiranno il funerale dell’artista che 20 anni dopo sarebbe stato “l’autore inglese più letto dopo Shakespeare”.

         La “narrazione” dei tre processi ad Oscar Wilde è nel testo di Kaufman trascinante ricostruzione polifonica: la tragedia ne emerge con le voci e le differenti visioni dei personaggi che l’hanno vissuta, travalica i confini storici del moralismo vittoriano, diviene epitome della ferocia di tutti gli oscurantismi e ipocrisie sociali.

         Dal processo intentato da Wilde contro il marchese di Queensberry - padre del giovane amatissimo Alfred Douglas - per averlo diffamato riferendo del suo “atteggiamento sodomita”, e conclusosi con l’assoluzione del marchese, scaturiscono come effetto boomerang gli altri due processi, stavolta contro Wilde stesso, che verrà condannato al massimo della pena (che il giudice ritiene inadeguata) per atti osceni e sodomia in “violazione del Comma 10 Sezione 2 della Riforma del Codice Penale”. La rovina si abbatte sull’artista: bruciati i libri, messa all’asta ogni sua proprietà, spezzati i legami famigliari, della sua vita non resteranno in breve che macerie.

       “Sta crollando tutto, e con che fragore… Pensavo solo di difenderlo da suo padre…”: così Wilde guarda precipitare la vita - occorre un orribile coraggio per affrontare tutto ciò - eppure la sua figura piegata resta titanica nello spazio claustrofobico dell’aula di tribunale, nudo contenitore teatrale il cui perimetro si riduce con le sbarre che gli attori gli stringono intorno; qui i nove interpreti consumano le tappe della tragedia, di volta in volta personaggi, narratori ed anche “coro”, voce collettiva della strada (“Ammazzate quel finocchio!”) aizzata da cronisti senza scrupoli e da un giornalismo scandalistico e bacchettone.

       “Non so rispondere a prescindere dall’arte”, dirà Wilde all’avvocato che lo incalza intimandogli di rispondere. E  lui che ha fatto "dell’arte una filosofia e della filosofia un’arte”, che ha “cambiato la mente degli uomini e il colore delle cose”, risvegliato l’immaginazione del suo secolo, sulla scena del tribunale è l’esteta beffardo e prodigioso il cui genio trionfa sulla miseria dei suoi accusatori, ed è infine l’uomo annientato alla lettura della sentenza (E io?... Non posso dir nulla?).

        “Le vere tragedie della vita avvengono in maniera così inartistica”, scrive, e tuttavia la sua figura di artista che “reclama all’arte uno statuto di libertà assoluta” giganteggia sull’accanimento di legulei che nell’ossessiva lettura delle sue pagine cercano le prove di perverse deviazioni sessuali, si erge nella coerenza soave del proprio sentire che nulla concede ad ipocrisie e apparenze, si staglia nitida negli squarci poetici che spezzano l’azione concitata, che stemperano il pathos quando giunge al suo acme.

         La domanda da cui muove la ricerca teatrale di Moises Kaufman – come può il teatro raccontare la Storia – trova dunque risposta nell'appassionata ricostruzione di un’aberrazione giuridica che muove dagli atti originali del processo (la cui trascrizione è comparsa in maniera fortunosa da non molti anni) e in sapiente montaggio lega atti processuali, lettere, scritti di protagonisti e comprimari, articoli giornalistici, componimenti e memorie dello scrittore. Impianto complesso, straordinariamente unitario e coerente pur nella pluralità di voci e nell’intersecarsi di piani narrativi e temporali.

         Dalla “povera luce sporca” che passa dalle sbarre di quella sua cella, da quel suo tempo imprigionato dove “per noi non c’è che una stagione, quella del dolore”, la figura di Wilde ci parla e c’interroga ancora: gli straordinari interpreti e la regia che l’hanno resa viva sulla scena per oltre due intensissime ore l’hanno restituita intera alle nostre distratte coscienze. 
Lasciandoli, ci chiediamo se nel tanto che nel tempo è cambiato, tutto sia davvero cambiato, e se scorie di quell’oscurantismo, dell’ottusità di quei poteri, della ferocia moralistica di una società e di un’epoca, non sopravvivano ancora in troppi anfratti, non sempre nascosti, del nostro vivere odierno.



18.7.2107                                                             Sara Di Giuseppe
                                                               faxivostri.wordpress.com       letteraturamagazine.org