venerdì 10 febbraio 2017

Asilo politico di Michele Rallo: "Elezioni, scissioni, coalizioni" - Renzie: "Addio sogni di gloria!"


E così, dopo la travagliata decisione della Corte Costituzione sull’Italicum, le elezioni anticipate sembrano avvicinarsi. Sembrano... ma non è detto che sia così.

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Lo scenario è di quelli in cui è possibile tutto e il contrario di tutto.
L’unica cosa certa è che l’Italicum fosse incostituzionale. Ma si vedeva ad occhio nudo, senza bisogno che la Corte si spremesse tanto. Era semplicemente un parto del delirio d’onnipotenza del Vispo Tereso, esattamente come la riforma costituzionale poi randellata al referendum. L’uno e l’altra pensati per ampliare a dismisura i poteri del padrone del pastificio, ovvero della figura che – secondo la fantasiosa architettura costituzionale renziana – avrebbe dovuto riunire due diverse funzioni: quella di capo del partito di maggioranza e quella di capo del governo. Nel presupposto – sempre dovuto alla smisurata presunzione del ragazzo – che fosse lui e sempre lui il titolare di quelle due funzioni.
Intanto – nel lasso intercorrente tra il varo e la bocciatura di quelle riforme – era avvenuto un fatto di non trascurabile importanza: il rafforzamento del Movimento Cinque Stelle e, conseguentemente, la fine del vecchio quasi-bipartitismo e l’avvento di un quasi-tripartitismo. Stando ai sondaggi, i principali soggetti che oggi potrebbero spartirsi i suffragi degli italiani, sarebbero tre: PD, Grillo e Centro-destra. Tutti attorno al 30%, quasi alla pari. Secondo l’ultimissimo rilevamento Demos commissionato da “Repubblica” (4 febbraio), in questo momento l’ordine d’arrivo sarebbe il seguente: primo il Centro-destra unito (31,8%), secondo il PD (29,5%), terzo Grillo (26,6%); al quarto posto la sinistra-sinistra (5,4%); mentre i cespugli centristi (alfaniani, verdicchi, casinisti, eccetera), tutti insieme, arriverebbero appena al 3,5%, ben al di sotto della soglia per accedere alla ripartizione dei seggi.
Tutto ciò, nel presupposto che il Centro-destra si presenti unito, e che il PD non si presenti diviso. Ma di questo parleremo dopo. Voglio prima sottolineare altri due dati, che desumo dallo stesso sondaggio (pur con tutte le cautele del caso). Il primo si riferisce alla prospettiva di elezioni anticipate: il 70% degli italiani è contrario. Il secondo è un dato che, a prima vista, sembrerebbe riguardare solo gli equilibri interni al Centro-destra: il partito che cresce di più è Fratelli d’Italia, «come se – leggo sul quotidiano debenedettiano – al pari di altri paesi, fosse in atto un processo di radicalizzazione». Fattore che non riguarda solo il Centro-destra, e vedremo poi il perché.
Torniamo adesso allo scenario principale, quello degli schieramenti in campo. Cominciamo dal Centro-destra. Non occorre una laurea in matematica per comprendere che, se si presentasse diviso, cederebbe il primo posto a un PD unito o, se questo avesse subìto una scissione, al Movimento Cinque Stelle. E, se il Centro-destra si spaccasse, l’alleanza “sovranista” Salvini-Meloni rastrellerebbe un buon 20%, lasciando Forza Italia al palo del 10%. Tutto dipenderà da Berlusconi: se non si renderà conto di rappresentare oramai il passato, avrà sulla coscienza una sconfitta inevitabile (come alle amministrative di Roma). Nel Centro-destra gli vogliono tutti bene, ma la leadership non gliela riconosce più quasi nessuno, nemmeno una parte del suo stesso partito. In pole position c’è adesso Giorgia Meloni, al secondo posto – dopo Gentiloni e prima di Renzi – nella graduatoria dei leader più popolari. Il giornalone della sinistra radical-chic non lo ammette apertamente, ma ricorre a un giro di parole per dire e non dire: «Gentiloni, per quanto “impopulista”, oggi è il più popolare fra i leader. Dichiara di aver fiducia verso di lui il 47% degli elettori. Oltre 10 punti più di Renzi. E poi: 9 più di Giorgia Meloni.» Il che – se la matematica non è un’opinione – significa che la Meloni è al 38% di gradimento, e Renzi a un 37% scarso. Comunque, tutti e tre nettamente avanti – sia detto per inciso – rispetto al portabandiera dei Cinque Stelle, Di Maio.
E passiamo al PD. Anche qui il suo piazzamento dipende dal fatto che si presenti unito o diviso. Renzi – ne abbiamo appena parlato – è in caduta libera: 10 punti di gradimento in meno del suo successore, il poco carismatico Paolo Gentiloni. E ancòra gli italiani non si sono resi conto che l’ultimo guaio venuto fuori – quello della manovra aggiuntiva di 3 miliardi e 400 milioni di euro impostaci dall’UE – deriva dritto-dritto dalle folli spese per i migranti (3 miliardi e 300 milioni solo nel 2016) oltre che dalle marchette acchiappa-voti della demagogica gestione finanziaria renziana. Si pensi – per fare un solo esempio – al “bonus cultura” di 500 euro (per libri, dischi, cinema, teatro, eccetera) omaggiato a tutti i diciottenni, stranieri compresi. Proprio in questi giorni la RAI ci bombarda con la pubblicità di “18app”, invitando i neo-maggiorenni a richiedere le loro spettanze.
Quando si scopriranno le carte (il che avverrà con l’imminente nuova “manovrina”), sono certo che il Pascolatore di Bufale Toscane dovrà cedere un’altra decina di punti di gradimento. Nel PD ci si rende conto di tutto ciò, si comprende che la segreteria Renzi non è più un valore aggiunto, ma un valore sottratto – diciamo così – in vista dei prossimi appuntamenti elettorali, una palla al piede. Molti chiedono un congresso per sbarazzarsi dell’incomodo, e probabilmente altri pensano la stessa cosa pur senza avere – ancòra – il coraggio di uscire allo scoperto.
Ma il Renzi non ci pensa minimamente a farsi da parte. Si è buttato allegramente alle spalle l’impegno di abbandonare la politica nel caso di sconfitta al referendum. Dopo la gran legnata del 4 dicembre ha lasciato soltanto la Presidenza del Consiglio (sarebbe stato impossibile non farlo). Ma la segreteria del partito, no. Perché al Segretario spetta di fare le liste, di designare i capi-lista e, così, di determinare la formazione di gran parte della classe dirigente del PD per il prossimo quinquennio: quella classe dirigente che, a sua volta, sarà decisiva per indicare il candidato del partito a Presidente del Consiglio.
Ecco perché il Pifferaio dell’Arno pesta i piedi per andare sùbito ad elezioni anticipate. Perché oggi sarebbe lui a fare le liste. Domani, invece, quando i nodi saranno venuti al pettine, le cose potrebbero assumere una piega assai diversa.

Scissione o non scissione, comunque, l’ex rottamatore ha ben poco da stare tranquillo. La prossima rottamazione potrebbe riguardare proprio lui. In veste di rottamato. O di rottame.

Michele Rallo - ralmiche@gmail.com



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Canzincina in sintonia: "https://www.youtube.com/watch?v=x_bN3csa9Ow

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