giovedì 3 maggio 2012

Damasco a maggio - ...l'altra Siria, quella vera, raccontata da Marinella Corrreggia...

Jbab e Damasco

“Peggio dei terremoti e delle tempeste è l’odio settario. Per la nostra religione è un peccato gravissimo. Chi uccide una singola persona è come se uccidesse l’umanità intera, dice il Corano. Eppure le potenze esterne hanno fatto in modo di alimentare il settarismo violento anche in Siria”. Il maestro Ali è un musulmano praticante e sunnita che vive nel grosso paese di Jbab, governatorato di Deraa (considerato roccaforte dell’opposizione al governo), a 40 minuti di pulman da Damasco, fra uliveti vecchi e nuovi (la Siria è fra i primi produttori al mondo) e campi di grano. A Jbab “riciclano” le grosse scure pietre di basalto per costruire le case nuove; la sua, Ali l’ha costruita da sé e con spontanei criteri di bioarchitettura. Dopo un tè e un caffè, si congeda insieme alla moglie (che non parla), precisando che a Jdab non ci sono problemi e che quando è andato a Deraa a prendere lo stipendio ha trovato tutto calmo.

Iracheni erranti

A Damasco, nel quartiere di Jaramana, la sera gli iracheni (uomini) si ritrovano a giocare a scacchi e bere tè sotto una grande tenda arredata, allestita due anni fa da uno di loro. La Siria ha ospitato e ospita oltre a palestinesi e libanesi un numero incredibile di iracheni scappati dopo la guerra di Bush del 2003 con il caos e il conflitto settario che ne sono seguiti. Secondo l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), il numero (fluttuante) di iracheni rifugiati in Siria è di oltre 1.100.000 persone più 300mila prive di status. Sono una parte sono registrati. Damasco ha sempre concesso permessi di soggiorno rinnovabili ma questa enormità di rifugiati è un peso sociale enorme. Ha aumentato i prezzi degli affitti e delle case, ha portato fenomeni di delinquenza, disagio, prostituzione. A parte gli aiuti alimentari forniti dall’Unhcr, l’assistenza sanitaria gratuita delle strutture siriane e della Red Crescent siriana, la scuola pure gratuita (ma molti bambini iracheni non ci vanno e lavorano), gli iracheni teoricamente non possono lavorare; comunque l’occupazione al nero è tollerata. Come vedono la tragedia siriana? Saad (di Baghdad, quartiere Qarrada) gestisce un lavanderia: “Siamo scappati in Siria perché qui era più facile essere accolti, la vita costava poco, eravamo vicini al nostro paese e le tradizioni sono simili. Ma adesso temiamo un intervento armato esterno anche qua ad appoggiare i gruppi di terroristi fanatici come quelli che ci hanno fatti partire dall’Iraq. Volete bruciare la Siria con tutti i suoi abitanti? Molti iracheni stanno cercando di andar via. C’è anche una politica per farne andare un po’ in Turchia a gonfiare le cifre sui rifugiati dalla Siria”.

Sotto la tenda-bar, il signor Abdel Fatteh spiega che a causa delle sanzioni bancarie è adesso difficile ricevere la pensione dall’Iraq. “Sono venuto qua nel 2006 con mia moglie e tre figli per il pericolo di attentati, le violenze settarie, i rapimenti…Adesso rivedo tutto qui”. Majid, che a Baghdad viveva ad Adamyia, è arrivato nel 2007 con moglie e cinque figli dopo che altri tre gli sono stati uccisi; uno dopo un rapimento, e due gemelle in un’esplosione in città. Lavora come piccolo commerciante ma la crisi della Siria ha danneggiato tutti, e gli aiuti internazionali ai rifugiati sono pochissima cosa. Ha fatto l’intervista per trasferirsi…negli Stati Uniti.

La loro storia da Homs

Rimarrà a Homs e non tornerà nel paese dell’Est europeo che ha lasciato 29 anni fa con il marito siriano la signora M. Attualmente in visita a Damasco, chiede di non precisare né il suo paese d’origine né il quartiere di Homs in cui vive perché “credo di essere una delle pochissime straniere ancora lì e rischio”. Torna spesso a casa e anche là c’è disinformazione sulla Siria. Ecco la sua versione dell’”assedio a Homs”: “Il quartiere dove vivo – misto, con sunniti come è mio marito, alaouiti, cristiani – è circondato su tre lati da quartieri che si erano riempiti di gruppi armati, soprattutto Khalidyia. Noi chiedevamo più presenza dell’esercito, perché era rischioso uscire dal quartiere, mia figlia non è più andata all’università, tanti non andavano al lavoro. Per poter viaggiare fuori Homs hanno riattivato la vecchia stazione delle corriere, in una zona tranquilla. Nel quartiere c’era un grande rischio per via dei cecchini, mio marito un giorno ha soccorso una donna colpita di striscio in strada”. Ma dicono che sono tiratori del regime…”Ci sono diversi video in cui i terroristi rivendicano le loro azioni – anche decapitazioni, impiccagioni – e le mostrano anche”. Ma a febbraio l’esercito ha bombardato Homs e Khalidya uccidendo civili? “Certo c’è stata battaglia – non si poteva lasciare un’intera area nelle loro mani – e molte cose sono distrutte. Da Baba Amr e Khalidyia i civili se ne erano andati quasi tutti. Ma i terroristi avevano preso ostaggi, scudi umani che una volta liberati hanno raccontato la loro storia”. Parla di molte ragazze che adesso si velano per sicurezza. Parla di un medico bulgaro nel cui ambulatorio i “terroristi portavano i feriti. E’ tornato in patria, si sentiva preso fra i due fuochi”. Afferma che “ritirandosi da Baba Amr i terroristi hanno preso possesso di Hamidya – quartiere con molti cristiani che non stanno da nessuna delle due parti e che sono scappati – rubando e saccheggiando. Conclude che “è ancora possibile la pace e la riconciliazione, ma devono smettere di mandare armi e soldi in Siria”.

Gaith (“Pioggia”) è studente alla facoltà di odontoiatria a Damasco e va a Homs tutti i mesi a trovare la famiglia abitante nel quartiere Al Zahra. Ecco la sua versione. “I terroristi si erano insediati nei quartieri di Baba Amr e Khalidya (che è vicino ad Al Zahra) e volevano fare di quelle aree un’altra Bengasi, anzi forse un altro Afghanistan islamico. Volevano occupare tutta Homs forse. Intanto il mio quartiere era quasi accerchiato, era pericoloso uscire per andare a lavorare altrove; si rischiavano rapimenti, uccisioni di alaouiti, cristiani, e sunniti che non stavano con i terroristi. Da Khalidya e Bara Amr arrivavano a Zahra e Akrama attacchi come quello che ha ucciso il giornalista francese (Gilles Jacquier, ad Akrama, ndr). No, non so dire da dove vengono i terroristi; mi dicono che ci sono prove di tante presenze di stranieri”. Come mai in febbraio è arrivato l’esercito ad accerchiare Baba Amr? Prima di febbraio l’esercito non c’era a Homs, c’era solo la polizia. Il governo aveva mandato in quei quartieri dei religiosi per negoziare ma non hanno voluto. Allora è arrivato l’esercito”. I media dicono che l’esercito ha ucciso tanti civili a Homs…”Forse dei civili sono morti fra i due fuochi. Ma tanti uccisi non erano civili, erano ben armati”. E la strage di Karm Zeitoun, tutti quei morti che abbiamo visto negli orribili video diffusi in marzo? “Sono stati i terroristi. L’hanno detto anche i parenti sopravvissuti”. Com’è adesso la situazione a Homs? “Rimangono gruppi armati a Baba Amr e Khalidya”. Cosa pensi della Free Syrian Army? “Sono islamisti, non rivoluzionari”.



Zabadani

Ed ecco Samir, studente di Zabadani, un luogo di turismo montano per i damasceni, verso i confini con il Libano, dove fiorisce il contrabbando di armi e combattenti. “Di Zabadani si è parlato poco perché il clou degli scontri è stato contemporaneo a quello di Homs, a febbraio. Mesi prima erano iniziate proteste e c’erano stati alcuni…incidenti ma poi rapidamente si sono visti per le strade sempre più uomini armati. “Per proteggerci”, dicevano. Attaccavano i check points. L’esercito non è intervenuto finché non è diventato evidente che gli armati erano oltre mille e volevano creare un’area ‘liberata’. Alcune famiglie che erano contro il governo dicevano anche ‘non siamo soli’ e forse si riferivano a combattenti di altri paesi. Se a febbraio l’esercito ha avuto bisogno di settimane per riguadagnare il controllo dell’area vuol dire che si opponeva a combattenti professionisti e armi sofisticate. Molti abitanti sono fuggiti dagli scontri, noi siamo rimasti ma tappati in casa e senza luce né telefono. Poi a Zabadani si è avviato il negoziato, attraverso alcune famiglie importanti e si è raggiunto un cessate il fuoco, il primo caso nel paese. Parte degli armati sono andati altrove, altri erano stati arrestati o uccisi, altri hanno deposto le armi”.

Marinella Correggia

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