lunedì 9 maggio 2011

Giuseppe De Marzo: "Accampiamoci davanti al Parlamento per protestare contro l'oscuramento mediatico sui referendum..."



"Meglio in tenda che nel palazzo... che emana olezzo!" (Saul Arpino)

A oltranza in Piazza Montecitorio finché non cade la censura sui referendum

E' la proposta lanciata dal portavoce di A Sud Giuseppe De Marzo tramite l'articolo, che alleghiamo qui di seguito, uscito sabato 7 maggio 2011 su Il Manifesto

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Quando la goccia fa traboccare il vaso? Gli ultimi giorni hanno fatto segnare un'accelerazione nel tentativo dichiarato di demolire ciò che resta dei nostri valori costituzionali. Prende forma la new republic che tiene insieme le esigenze di Confindustria, malavita organizzata, grandi interessi economici, capitale transnazionale e governo Berlusconi. La crisi planetaria del capitalismo si sta trasformando nell'anomalia italiana in una straordinaria opportunità per riproporre da parte di chi detiene il potere un'idea classista, patriarcale e medioevale delle relazioni sociali ed economiche. Il re è nudo ed invita tutti a farlo. Si salvi chi può; o meglio, chi può si porti via tutto perché domani chissà. Carri armati per le strade? Andranno delusi quelli che ne hanno bisogno per rendersi finalmente conto della portata del golpe. Il processo di assuefazione propinato agli italiani in questi ultimi venti anni ha partorito una nuova repubblica la cui costituzione materiale è fondata sulla centralità del profitto e sull'impresa come unica istituzione e fonte di diritto. Solo come esercizio metodologico vale la pena rapidamente rammentare l'ultima sequenza: disegno di legge per l'abolizione della norma costituzionale che vieta la riorganizzazione del partito fascista; proposta di trasformazione dell'art.1 della Costituzione per eliminare l'equilibrio tra i poteri dello Stato; emendamento del governo al decreto legge per sospendere il referendum sul nucleare; assenza delle istituzioni durante tutta la drammatica vicenda del nostro Vittorio Arrigoni; gli sfregi alla memoria ed ai valori del 25 aprile a Milano, Corsico, Venezia, Roma, Foggia, Reggio Calabria; la decisione di bombardare la Libia; i manifesti che associano i magistrati alle Br a Milano; la minaccia di sospendere anche il referendum sull'acqua, solo per ricordarne alcune.


Cosa bolle in pentola? Niente, assolutamente niente di diverso da ciò che vediamo, ascoltiamo e leggiamo. È ormai tutto chiaro. Prossima mossa? Semplice: come garantirsi centinaia di miliardi di euro per i prossimi anni? Lo hanno già detto e fatto: re-introducono il nucleare e privatizzano l'acqua. Del resto per comprendere cosa porterà il futuro non bisogna essere indovini. La crisi ecologica planetaria e le sue inevitabili conseguenze socioeconomiche produrranno una necessaria contrazione dei consumi, ad eccezion fatta per i servizi basici. Proprio questi sono stati portati sul mercato: «finanziarizzati», si direbbe per usare una brutta parola. Senza quel business questo castello di nani, ballerine e malavitosi, crollerebbe. Non bastava buttare 400 milioni per evitare di accorpare amministrative con quesiti referendari. Lo dicevamo che la scelta di Maroni era uno schiaffo inaccettabile di una democrazia degenerata in oligarchia di Stato ai suoi cittadini. Adesso da cittadini lobotomizzati pretendono di trasformarci in sudditi festanti. Stanno apertamente facendo di tutto per boicottare i referendum e impedirci di fermare la lobby nucleare, riprendere l'acqua e ripubblicizzare il servizio idrico. Lo ha detto chiaramente la Marcegaglia: l'emotività su Fukushima potrebbe far perdere alle imprese italiane e francesi circa 30 miliardi di euro, così come la vittoria dei due si per l'acqua pubblica il 12 e 13 giugno far naufragare un business di oltre 100 e passa miliardi. Ed è per questo che il presidente del consiglio annuncia il giorno della liberazione che l'emendamento al decreto per fermare il nucleare è solo uno strumento per guadagnare tempo ed il nucleare si farà tra due anni, passata "l'ondata emotiva". Il tratto distintivo di queste affermazioni è aberrante: migliaia di morti, milioni di persone che perdono tutto, migliaia di anni di devastazione ambientale, sono semplice "ondata emotiva". Non conta assolutamente nulla il fatto che la Consulta abbia investito il comitato referendario di un ruolo costituzionale, garantito per questo dalle stesse regole e procedure che la Carta esplicita sul tema. Non c'è regola che tenga, ne Carta costituzionale, né tragedia, né evidenza scientifica, figurarsi l'umanità spezzata e incenerita davanti ai nostri occhi a causa della follia di chi propone ancora il nucleare o da parte di chi privatizzando il bene più prezioso asseta e uccide più di un miliardo di persone. Questo governo ha già rinunciato da tempo all'idea stessa di rivedersi dentro un campo vasto chiamato "umanità", come direbbe il nostro Vik. L'involuzione, o l'evoluzione dal loro punto di vista, è completa.

A questo punto che si fa, considerata per altro l'incapacità delle forze di opposizione a mettere in piedi alternative praticabili? Asor Rosa su questo giornale in maniera provocatoria invocava un golpe fatto da altri soggetti istituzionali. Crediamo si sbagli, per vari motivi. Ma soprattutto per il fatto che il soggetto fondante di una democrazia risieda nel popolo e dunque nella sua cittadinanza attiva, non nei carabiniere e nella magistratura. Siamo in molti nel paese a pensare che tutti quelli che si rivedono nei valori della nostra Carta, il cui elemento centrale è stato ed è la Resistenza, abbiano il dovere morale e storico di mettere in campo da subito risposte straordinarie. Il governo non ha dichiarato guerra solo ai libici nel giorno della liberazione dal nazi-fascismo ma l'ha dichiarata a tutti quegli italiani che ancora credono nei principi fondanti della nostra Carta: giustizia, pace, uguaglianza di fronte alla legge, diritto al lavoro e ad una vita degna.

Questione di tempo, scriveva la direttrice dell'Unità in un suo editoriale in cui aspetta che i giovani "resistenti" ridiano dignità alla penisola. Si sbaglia. Non è un conflitto che si risolve su un piano generazionale. Difendere oggi la democrazia significa ripensarla e non puntellarne le crepe. Una democrazia comunitaria e partecipata si costruisce tra tutti e soprattutto tra diversi. Abbiamo bisogno di una "interfecondazione" per rispondere al rachitismo intellettuale ed all'aridità di una cultura omologata. Così come giustamente Viale sostiene che il passaggio dall'era dei combustibili fossili a quella delle energie rinnovabili impone un cambio di paradigma ed un sistema distribuito e non centralizzato, allo stesso modo dobbiamo costruire una ontologia che misura la democrazia a partire da una nuova relazione con la natura e dall'accesso della popolazione ai servizi basici. La redistribuzione del potere di governo dell'economia deve dunque investire la comunità, coinvolgendola direttamente così da poterne far emergere quel potenziale di saperi e pratiche sulle quali ricostruire un filo che possa in maniera equilibrata tessere una relazione tra democrazia rappresentativa, partecipativa e comunitaria.

Il potere costituente torni a pulsare nelle forme della nostra cittadinanza attiva, vera ed unica depositaria dei valori della resistenza. Lanciamo una proposta rivolta a tutti e tutte: dopo le elezioni amministrative diamoci appuntamento a Piazza Montecitorio e piantiamo le tende della democrazia sino a quando il governo non avrà restituito il diritto-responsabilità ai cittadini di scegliere il 12 e 13 giugno sul nucleare e sull'acqua. Davanti ad un parlamento muto, sordo e cieco e ad un governo ormai fuori controllo è il momento di ritrovarci tutti con l'obiettivo di vincere la battaglia referendaria. Ne abbiamo la forza. Dobbiamo solo ricordarcene.


Giuseppe De Marzo Portavoce A Sud

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