martedì 2 marzo 2010

Calcata: "Poesie dedicate a Kali, la nera... amante, creatrice, distruttrice, tenebra fonda e luce abbagliante.."

Calcutta / Calcata: La Dimora di Kali

Più volte ho equiparato Calcata a Calcutta, il significato ed il nome sono gli stessi, in India e nel resto del mondo per entrambe la pronuncia è “Calcata” che significa in sanscrito “Dimora di Kali”. Kali è la Dea Suprema, l’energia che crea ogni cosa, l’aspetto dinamico della Coscienza (che è Shiva).

In particolare nel Bengala, dove appunto si trova la città di Calcutta sulle rive del Gange, c’è un’antica tradizione devozionale sotto forma di inni dedicati alla Dea. La Madre è descritta come luce e tenebra, illusione e conoscenza, amore odio, bene male, nobiltà ed ignominia, insomma tutte le categorie degli opposti. Kali è maya, la grande incantatrice, ed è kundalini, colei che ci risveglia dal grande sonno. Tutto è nelle sue mani e nulla può manifestarsi all’infuori di lei. Kali viene raffigurata mentre danza, estatica e nuda, sul corpo dormiente di Shiva.

Solo lei è la Terribile e la Benefica.

L’adorazione di Kali assume tutte le forme del possibile rapporto con il femminile, ella è madre, sorella, figlia, amica ed amante. Solitamente i devoti preferiscono rivolgersi a lei come Madre Universale, ma esistono culti che la venerano con amore filiale, in forma di giovinetta vergine, e vi sono inoltre gli approcci devozionali tantrici che la vedono come amante divina.

Kali... la Dea Nera, la danzatrice primordiale che crea il mondo... come potrà non esserci a Calcata? La sua danza è ovunque ed eterna! Ma la sua eternità è nel contesto dello spazio tempo, mentre la sua vera essenza è fuori del tempo, quindi anch'essa, come forma Kali, è illusoria e relativa.. e destinata a scomparire nell'oceano senza forma dell'Assoluto!
Kali, nella tua immensità vorrei immergermi e perdermi... come quella statua di sale che voleva misurare la profondità del mare... Tu sei me, io sono Te!

Paolo D’Arpini


Qui raccolgo alcuni inni sacri che la dipingono nei suoi diversi aspetti.

Dal Devi Mahatmya.

Quell’energia
che in tutti gli esseri è detto Coscienza
sia riverita, riverita, riverita.
Quell’energia
che in tutti gli esseri è noto come Ragione
sia riverita, riverita, riverita.
Quell’energia
che esiste in tutti gli esseri come Quiete
sia riverita, riverita, riverita.
Quell’energia
che esiste in tutti gli esseri come Compassione
sia riverita, riverita, ricevuta.
Quell’energia
che si manifesta in tutti gli esseri come Illusione
sia riverita, riverita, riverita.

Dal Mahanirvana Tanta

Misericordiosa,
vaso di misericordia,
la cui compassione è senza limiti,
che sei raggiungibile solo per la Tua compassione.
Tu che sei fuoco,
bronzea,
nera di colorito.
Notte oscura.
Tu sei nera come un cumulo di nubi,
tu che ti compiaci della devozione delle vergini
e sei il rifugio dei devoti delle vergini.
Tu che ti compiaci della celebrazione delle vergini
ed assumi la forma della vergine.
Oh Bella, oh strisciante,
che ispiri tutti i desideri
eppure liberatrice dalle catene del desiderio.
Oh gioiosa,
sollievo dalle sofferenze,
a te m’inchino….

Dal Karpuradi Storta

Oh Madre,
tu partorisci il mondo e lo proteggi
ed al momento della dissoluzione
riassorbi in te la terra ed ogni cosa.
Possa Devi, la Madre,
che appare nella forma di tutte le cose
apportare benefici
a tutti coloro che cantano le sue lodi.

Ed ora alcune poesie di Ramprasad, santo poeta nato a Calcutta nel 1718.

Tara, mi ricordi ancora?
In un qualsiasi altro posto
Non avrei potuto implorarti.
Ma ora, Madre, mi hai dato speranza,
hai reciso le mie catene
Madre, Madre mia,
tutto ciò che è mio è finito.
Ho offerto il mio dono!

Nella piazza del mercato di questo mondo,
la Madre sta seduta e fa volare i suoi aquiloni.
Su centomila, di uno o due taglia la fune.
E quando l’aquilone s’innalza nell’infinito
oh! come ride e batte le mani.

Oggi o fra cento secoli,
non sai quando avverrà la confisca dei beni.
In mano hai solo il momento presente.
Mente, oh mente mia,
affrettati a produrre il raccolto!
Spargi ora il seme che i tuoi maestri ti hanno dato
ed innaffialo con l’acqua dell’amore.

Dalla terra in cui mai fa notte,
lei è venuta a me.
Ed il giorno e la notte non sono più nulla per me.
Dite quel che volete, io sono sveglio.
Sttt… ho restituito il sonno a colei cui apparteneva.
Ho mandato il sonno a dormire per sempre.

Amo l’oscura bellezza di Syama,
il battito del cuore, i capelli arruffati, l’amo e l’adoro!

Ora una poesia che la rimprovera della sua “crudeltà”, scritta da un portoghese, Ferenghee, sposato ad una vedova indiana, che visse in Bengala verso la fine dell’800.

Oh Kali mia, vuoi esser buona ora con me?
Ma quando mai
hai manifestato il tuo favore a qualcuno?
Tu, Syama, con Shiva sei stata tanto crudele
da scacciarlo dalla dorata Kasi
ed indurlo a rifugiarsi in un crematorio
e vivere da mendicante.

Un brano del magico poema di Avadhut, dedicato al grande crematorio di Calcutta, il Kaligath.

..e qui presso l’antico crematorio si può udire l’eterno pianto:
oscuro, muto, grigio, orribile, incolore,
soffocato, inudibile, incomprensibile,
lo si sente nel cuore.
Non è come un pianto di tristezza.
Non ha alcuna sfumatura di dispiacere
né alcuno spasimo…
Nel mezzo di quel pianto sconosciuto s’innalza il canto di Kali!
Amo quell’Oscura Bellezza,
con i capelli arruffati, che seduce il mondo,
così io l’amo…
Quella nera amata risiede nel mio cuore!

Ecco la prima strofa d’una poesia di Swami Vivekananda, il famoso discepolo di Sri Ramakrishna, nato e morto a Calcutta.

Vieni, Madre, vieni!
Le stelle sono coperte,
nubi sopra nubi,
l’oscurità è vibrante, sonante.
Il ruggente turbine del vento
è abitato dalle anime di un milione di pazzi
fuggiti dal manicomio,
che sradicano gli alberi,
spazzano via i pellegrini dal cammino.
Il mare si è unito alla furia
e onde alte come montagne s’innalzano
verso un cielo di pece.
Un lampo di fosca luce
rivela mille e mille ombre della morte,
sudicia e nera,
che diffonde piaghe e dolori,
ballando ebbra di gioia.
Vieni, Madre, vieni!

Termino questa breve raccolta con una poesia dedicata alla nostra Calcata, scritta da Francesca Pedicelli.

CALCATA

Il tempio antico onora
la nuova gemma di primavera,
una danza di calici
innalza versi all’occhio umano,
divino nell’ebbrezza gaudente
di satiri e fate.
Giocano aliti di vento
e rincorrono re e regine
su spighe d’oro effigiati.
Tace la voce cupa
della Terra dura,
la Madre respira piano
e nutre la povera gente
di pietà eterna.
Una foglia piega
l’ala timida
e scrive “gioia”
sui nudi crostoni
cesellati a mano
da pietre vive:
respiro del Cielo
di mondi lontani.

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