martedì 16 febbraio 2010

Tiziano Bagarolo: "Costi (e rischi) finanziari dell'energia nucleare" - Secondo i finanzieri il nucleare non conviene..

In un documento del novembre scorso - New Nuclear - The Economics Say No (pdf) - gli esperti della Citigroup, la più grande holding di servizi finanziari del mondo, hanno esaminato i costi e i rischi finanziari degli investimenti in centrali nucleari. Lo studio, su cui ha richiamato l'attenzione Greenpeace, è stato diffuso in occasione dell'annuncio del governo inglese dell'adozione di una procedura rapida per l'autorizzazione di nuove centrali nucleari in Gran Bretagna, contestuale all'indicazione di 10 possibili siti.

Detto fra parentesi: attualmente sono in funzione in Gran Bretagna 19 centrali nucleari che hanno contribuito nel 2009 per il 19% (69 milioni di kWh) ai fabbisogni elettrici del paese; l'ultima centrale è entrata in servizio nel 1995; al momento nessuna è in costruzione; tutte le centrali oggi in funzione, eccetto l'ultima, saranno dismesse entro il 2023; sia la francese Areva che la statunitense Westinghouse hanno preannunciato progetti per nuove centrali (4-6 EPR da 1600 MW Areva; 6 AP1000 la Westinghouse), le prime delle quali potrebbero entrare in funzione non prima del 2020; in altre parole si delinea una strategia di "sostituzione del nucleare con il nucleare" (fonte WNA).

Nelle intenzioni del governo inglese questa annuncio avrebbe dovuto essere un semaforo verde a un maggiore ricorso all'energia nucleare, giudicata necessaria per contrastare i cambiamenti climatici ed assicurare la sicurezza degli approvvigionamenti. Non è stato previsto, tuttavia, alcun aiuto finanziario diretto per le nuove centrali. Lo studio di Citigroup stima, però, che il rischio del nucleare per gli investitori sia così elevato da bloccare ogni passo in tale direzione.

L'analisi del documento della Citigroup. Il rapporto non considera i tradizionali argomenti degli ambientalisti e degli antinucleari (rischio di incidente, impatto ambientale ecc.). Si limita ad esaminare la cosa esclusivamente dal punto di vista finanziario, della convenienza dell'investimento per gli operatori privati. Data la fonte, il punto di vista e le conclusioni, vale senz'altro la pena di riferire questi ragionamenti.

Il rapporto indica cinque fattori di incertezza con cui devono fare i conti gli investitori nell'energia nucleare: 1) le incertezze della fase di progettazione-autorizzazione; 2) i costi di costruzione; 3) il prezzo di mercato dell'energia; 4) i costi di gestione e 5) i costi di decommissioning (smantellamento). A questi elementi di rischio dal lato degli investitori privati andrebbero aggiunti altri due elementi, esterni al settore ma che possono influire negativamente: la crisi del sistema finanziario e le difficoltà fiscali dei governi.
Alcuni governi di paesi avanzati, volendo incoraggiare il ritorno all'energia nucleare, hanno semplificato le procedure di autorizzazione, ma la prima variabile è quella meno significativa dal punto di vista finanziario.

Per gli investitori i problemi maggiori sorgono soprattutto in relazione ai punti 2, 3 e 4. Riguardo i costi di costruzione e di funzionamento lo studio esamina molti elementi di costo e osserva che quasi tutti presentano negli ultimi anni un andamento crescente: "Vediamo difficile che questi costi scendano e molto probabile che crescano ancora".

Per ripagare l'investimento, il prezzo dell'energia elettrica in Gran Bretagna dovrebbe poi restare stabilmente sopra i 65 euro al MWh. Negli ultimi 10 anni un prezzo del genere è stato raggiunto per non più di 20 mesi su 115.

La stessa Citigroup afferma però che è molto probabile che i costi dei nuovi reattori siano maggiori e che è molto difficile prevedere in quanto tempo saranno costruiti. Nell´ipotesi di un aumento dei costi del 20% e di ritardi di due anni nella costruzione e nel raggiungimento del picco del fattore di carico delle centrali, il prezzo dell´energia dovrà salire almeno a 70 euro al MWh perché gli investimenti risultino convenienti.

Se questi dati contengono una morale, ci sembra questa: i programmi nucleari, per non far fallire gli investitori, comportano un aumento del prezzo di mercato dell'energia elettrica, non certo una diminuzione, come vanno in giro a promettere Scajola e Berlusconi (Scajola ha ipotizzato un incredibile costo di 40 euro al megawatt sulla base di un fantomatico piano di finanziamento in 40 anni da parte delle banche!).

Lo studio conclude che gli operatori del settore privato non sono in grado di sostenere autonomamente i rischi di costruzione, i rischi di prezzo dell´energia e i rischi operativi delle nuove centrali nucleari. Per sostenere questi rischi i rendimenti avrebbero bisogno di essere sostenuti dal governo e i rischi condivisi con i contribuenti e i consumatori. Ovvero, al solito: privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite.

Il caso esemplare della centrale di Olkiluoto. Con tutto ciò, anche la stima di 70 euro al MWh avanzata da Citigroup appare molto ottimistica. Il caso della centrale di Olkiluoto in Finlandia (modello EPR della francese Areva, stesso modello di reattore di quelli previsti dal piano nucleare italiano), è molto istruttivo in proposito. Secondo i piani, la centrale, in costruzione dal 2004, doveva entrare in funzione nel maggio 2009, ma ora si prevede che sarà operativa solo nel giugno del 2012. Nel frattempo, i costi sono lievitati da 3 a 5,3 miliardi di euro, ossia del 77%!

La centrale di Olkiluoto illustra un altro problema che sta oggi di fronte all'industria nucleare e che è stato segnalato dal rapporto Renaissance of Nuclear Energy, preparato dal fisico Christoph Pistner per l'Istituto tedesco di ecologia applicata. L'industria nucleare ha pochi punti di riferimento per i costi di costruzione perché sono poche le unità in costruzione, e dunque l'incertezza riguardo i costi è molto elevata. Un fattore che blocca i progetti, quando si consideri che una centrale nucleare deve funzionare a pieno regime per vent'anni, senza deprezzamento e senza costi di adeguamento, prima di ripagare il costo d'investimento e di cominciare a dare profitti.

Elevati costi d'investimento e lunghissimi tempi di costruzione. Sull'insostenibilità finanziaria delle centrali nucleari ha richiamato di recente l'attenzione anche un esperto francese del settore energetico, Thibaut Madelin (citato da Julio Godoy, Energy: Nuclear Does Not Make Economic Sense, su Inter Press Service). La costruzione di una centrale turbo gas a ciclo combinato da 800 MW richiede quattro anni e costa 550 milioni di euro. La costruzione di un reattore EPR da 1600 MW richiede minimo otto anni e 6 miliardi di euro di investimento iniziale. Ciò significa che l'investimento nel nucleare comincerà a ripagarsi, se va bene, dopo 8 anni che è stata anticipata una enorme montagna di denaro su cui si pagano gli interessi. "Se la costruzione di una centrale nucleare dura più di 10 anni, il progetto diventa una catastrofe finanziaria." Ora, secondo dati dell'AIEA (l'Agenzia internazionale per l'energia atomica), i tempi di costruzione di una centrale nucleare sono passati da 64 mesi (quasi 5 anni e mezzo) a 146 mesi (più di dodici anni) fra il 1976 e il 2008.

Osservazioni simili sono svolte in un recente studio da una ricercatrice statunitense, Sharon Squassoni (citato da Julio Godoy). La Squassoni giunge alla conclusione che la crisi finanziaria e i costi di costruzione sono oggi "ostacoli insormontabili" per il rilancio dell'energia nucleare da parte dell'industria privata: "I costi di finanziamento ammontano ormai dal 25 all'80% del costo totale, perché costruire un impianto nucleare richiede molto più tempo di qualsiasi impianto alternativo" (18 mesi per una centrale eolica; 36 mesi una centrale combinata-turbogas; almeno 60 mesi una centrale nucleare). E molto più capitale anticipato. E, come osserva lo studio della Citigroup, "data la dimensione di questi costi, se qualcosa va storto in un progetto, ciò può seriamente compromettere il bilancio anche delle maggiori società".

Tiziano Bagarolo

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